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Era tempo di andarsene: il sole ora tramontato, e solo un angolo della vasca brillava, come se dentro l’acqua ardesse un lume. Justo prese Lia per la vita, ed ella, nonostante il terrore che provava pensando a suo zio, lasciò fare: e così se ne andarono, attraverso i viali più solitari, sotto l’occhio della luna che saliva grande e rosea sul cielo verdastro.

Lia non dimenticò mai quella sera: sentiva un’ebbrezza profonda, non perchè aveva trovato un uomo che la amava, ma perchè quest’uomo le prometteva una vita nuova. Le pareva di esser già un’altra donna; di essersi liberata da un laccio.

Ritornarono assieme a casa, passando sotto le mura illuminate dal crepuscolo glauco e rosso; le foglie cadevano dagli alberi, gialle, simili a fiori appassiti; in lontananza i cristalli delle finestre brillavano come lastre di smeraldo; tutto era dolce, luminoso e melanconico come l’amore di Lia.

— Allora a domani, — disse Justo, camminandole a fianco con la sua andatura un po’ lenta e quasi stanca. — Porterò a suo zio tutti i miei documenti, perchè prevedo che per lui le sole mie parole non basteranno!

L’ingresso e la scala del palazzo erano deserti: i due fidanzati salirono assieme e quando furono davanti all’uscio di Lia, Justo la strinse a sè e la baciò sulle labbra: e lei non protestò per paura che lo zio la sentisse.