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sparso di foglie dorate si avanzava la figura attesa tante volte invano. Il bambino saltò sul sedile e le disse:

— Sono col mio papà: ti cercavamo ed io sapevo ch’eri qui!

Lia lo strinse a sè e mormorò qualche parola, ma senza sapere quello che si dicesse, colta da un senso di spavento. Lo pareva di sognare: Justo le si era fermato davanti, l’aveva salutata, s’era seduto accanto a lei. Ella vedeva come attraverso un velo i grandi occhi di lui, d’un nero verdognolo, fissarla con curiosità e con bontà, distingueva le labbra di lui, un po’ pallide, i denti bianchi e forti ma alquanto irregolari, e pensava con terrore a quel che avrebbe detto lo zio Asquer se avesse saputo....

Ma a poco a poco si rifrancò: Justo le parlava di cose indifferenti, le diceva che la governante aveva la febbre reumatica e che quindi gli toccava di farne le veci.

La sua voce velata e cadenzata e il suo accento che rassomigliava alquanto a quello dei veneti sembravano a Lia ironici e benevoli nel medesimo tempo, e non le dispiacevano.

— Non le pare che ci sia troppo umido, qui, signorina?

Ella si guardò attorno e rispose gravemente:

— Sì, forse c’è troppo umido.

Justo parve allarmarsi, come per un imminente pericolo; guardò Salvador e disse: