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nervosa, morta giovanissima per anemia cerebrale: egli quindi vedeva talvolta il suo bimbo come circondato da una fitta caligine, e provava un’angoscia paurosa perchè si sentiva impotente a strapparlo al suo destino fatale. Egli, che nei suoi articoli dava consigli ai potenti della terra e insegnava come si devono governare i popoli, si sentiva incapace di educare un bambino: spesso, come aveva fatto quel giorno, parlava a Salvador di doveri, lo minacciava, lo supplicava come un uomo già fatto; ma si accorgeva che le sue parole gravi cadevano nell’anima lieta del bimbo come sassi nel mare.

Mentr’egli sentiva nella sua modesta colazione un sapore di veleno, Salvador, in cucina, già rideva e rifaceva i versi della signora Rosario.

Justo suonò, sollevò il viso severo e incontrò lo sguardo bieco della mulatta.

— Perchè il bambino fa chiasso?

— Perchè è cattivo.

— Fatelo lacere!

Ma dopo un momento le risate e i trilli gorgheggiarono ancora: per frenare la sua collera paterna, il vedovo passò nel salottino, si mise a fumare e pensò a Lia. Ella gli piaceva: si sentiva attirato a lei quasi da una affinità di razza, e l’affetto che ella dimostrava a Salvador era già un tenue filo che li univa attraverso uno spazio sconosciuto. Come avvicinarla? Come conoscerla? Questi quesiti gli fecero dimenticare il