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— Io non domando nulla, — diceva a sè stessa, — perchè dunque questa volgare ostilità?
E sembrandole che lo zio fosse animato, come la serva mulatta, da un solo impulso d’egoismo, sentiva un istinto di ribellione e di difesa: non si affacciò più alla finestra, nelle ore in cui sapeva che il vedovo usciva o rientrava, ma le sue fantasticherie si fecero più intense e più luminose, come le nuvole all’appressarsi del sole.
IV.
Non vedendola più, Justo Villanueva, che non ostante le cattive qualità affibbiategli dallo zio Asquer era un uomo timido, stanco e nostalgico, credette che ella fosse malata, o fosse ripartita: ogni volta che usciva o rientrava, sollevava gli occhi, e la finestra di Lia senza la caratteristica figurina di lei gli sembrava una cornice da cui fosse sparita una immagine prediletta.
Salvador parlava di Lia ma senza preoccuparsene troppo; la mulatta, più astuta del cavalier Asquer, si guardava bene dal riferire al padrone le chiacchiere della portinaia e di Costantina.
Un giorno, verso la fine di settembre, Justo s’era appena seduto a tavola, nella sala da pranzo la cui finestra era appunto attigua a quella di Lia, quando la mulatta, dopo averlo servito con aria truce, tese l’indice verso Salvador.