Pagina:Deledda - Nel deserto, Milano, 1911.djvu/63


— 57 —

nare davanti al suo cestino da lavoro, oppressa dai suoi pensieri che pur lo sembravano piccoli, frivoli e inutili come i ricami che ella eseguiva.

Un giorno, su un tavolino di caffè, vide un giornale illustrato con fotografie della spiaggia di Anzio, e mentre lo zio Asquer batteva il bastone per terra e contemplava il cielo d’un azzurro metallico, illudendosi che lo tende gialle e bianche dei negozî, sbattute dal vento di ponente, fossero vele gonfiate dal maestrale, ella guardò le figurine delle donne vestite di bianco, coi lunghi veli svolazzanti, i profili dei bimbi e quelli degli uomini in maglia, alcuni obesi e ridicoli, altri piacevoli a guardarsi, eleganti come statue o, se drappeggiati negli accappatoi, solenni, sullo sfondo marino, come figure di antichi sacerdoti.

Un senso d’invidia la rattristò: le pareva che quei bagnanti dovessero tutti sentirsi felici con l’anima piena di luce, di tutti i riflessi e di tutte le voci del mare. Ella non sperava di poter un giorno partecipare a tanta gioia; ma non poteva impedire alla sua fantasia di cercare, tra la folla della spiaggia, due figure a lei note. Pensava a Salvador con tenerezza materna, e le sembrava di vederlo guizzare tra l’acqua e la sabbia come un pesciolino: e accanto alla figurina del bimbo vedeva quella del padre, alta e grave, taciturna, in mezzo alla folla seminuda e garrula dei bagnanti, come quella di un esiliato.