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dov’ora l’utilità, la pienezza della vita ch’ella aveva sognato. Accompagnava lo zio con un certo senso di protezione, ma questo non le poteva bastare. Essi non conoscevano nessuno e vivevano in mezzo alla grande città come in un’isola disabitata: se qualcuno salutava lo zio, per la strada, ella domandava: «chi è?», e il vecchio rispondeva con un nome. Nomi e null’altro; ormo sulla sabbia, che il vento cancellava tosto.

Dal sedile della fontana ella spiava talvolta se una figura d’uomo, alta e un po’ grave, s’avanzasse nel viale come un’ombra amica; ma dopo quella prima domenica il vedovo non aveva più accompagnato il bimbo alla Villa.

Ai primi di luglio sparvero anche la governante e Salvador, e le persiane attigue a quelle di Lia furono chiuse. Roma si spopolava. Nel pomeriggio la via, battuta dal sole, ancora coperta di avanzi di erbaggi, pareva la strada di un villaggio; Lia vedeva i venditori di ciliegio che agitavano le bilancie d’ottone lucenti come lune, ricordava i cavalcanti di Gavoi, che portavano le ciliegie fino al suo paesetto, e un’ombra di nostalgia le velava lo sguardo. Ella rimpiangeva i sogni perduti; ma aveva ventitrè anni e nuovo fantasticherie seguivano alle antiche. Nella sua cameretta piena di sole le sembrava di soffocare come entro una scatola di cristallo; sognava il mare, le montagne, e per quanto girasse e rigirasse per il vasto appartamento, finiva col tor-