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le offrivano di accompagnarla, costringendola ad affrettare il passo: nello sguardo dello straniero c’era invece qualcosa di fraterno, e talvolta ella aveva l’impressione che anch’egli fosse vinto da un senso di abbandono e di solitudine, come lei e come tanto altre creature sole in mezzo alla folla. Ma ben presto ricominciò a diffidare. No, egli non era solo, aveva famiglia, amici, era un giornalista, cioè un uomo, secondo lo zio Asquer, conosciuto, ricercato, temuto da tutti, indifferente a tutto.

*

Intanto s'avvicinava l’estate, e lo zio Asquer, che non amava la campagna e non si moveva mai da Roma, col sopraggiungere del caldo diventò più irritabile e strano. Per non prender parte alle discussioni fra lui e la serva, Lia si ritirava nella sua camera e si metteva a lavorare accanto alla finestra, ascoltando i trilli, i canti, le grida del piccolo Salvador. Qualche volta, col lavoro in mano si sporgeva sul davanzale e vedeva il visino del bimbo che le sorrideva attraverso il vuoto fra la persiana e il muro. Un giorno egli le disse che doveva partire per il mare.

— Tu non vieni?

Ella disse di no, sospirando: per confortarla egli le promise di lasciarle in consegna il suo cavallino rotto.