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dal viso d’imperatore romano e alle vecchiette che compravano esitando due soldini di cicoria. Costantina andava da un cestino all’altro, pesava le arance e sbucciava un pisello, prendeva un grappolo roseo di ranocchie, scuotendolo e arrovesciandolo come un grosso fiore carnoso; tirava su un cefalo argenteo, ne apriva le pinne, l’odorava, lo rimetteva: litigava con tutti.

Al di là del muro un uomo in camicia gialla coltivava un pezzetto di terra, due cagnolini giocavano all’ombra dei salici, e dietro gli olmi fioriti il sole illuminava una fila gialla di palazzi e di conventi.

Una mattina Lia vide alla finestra attigua alla sua un bambino di cinque o sei anni, che sporgeva e ritirava la testa, volgendosi di qua e di là curioso e irrequieto; e stette ad osservarlo intenerita, notando le sue manine affilate e nervose, il visino che pareva scolpito nell’avorio, illuminato da due grandi occhi castani e incorniciato dai capelli biondicci, lisci, lunghi sulle orecchie e tagliati a frangia sulla fronte. Vedendosi osservato egli cominciò a fare il grazioso, buttando in aria alcune briciole di pane e riprendendolo con la bocca, e guardando Lia di nascosto come per accertarsi che il gioco le piaceva.

Lia gli sorrise: egli si ritrasse, poi ritornò, le fece vedere una palla rossa, poi un cavallino con tre sole gambe: ed entrambi cominciarono a sorridersi, a guardarsi, a farsi cenni di saluto, at-