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sua prossima fine, della sua scarsa eredità. La primavera calda e ventosa lo rendeva fiacco e nervoso; pareva che a un tratto egli si preoccupasse dell’avvenire di Lia più che del suo. Costantina s’immischiava nella questione, e in segreto diceva a Lia che lo zio Asquer possedeva molti denari, ma davanti a lui ripeteva:
— Vostè morrà quando io e signoricca saremo vecchie come le pietre, se prima lei non ci farà morir di bile. Quando resteremo sole metteremo su una pensione, come dicono che farà la vedova qui accanto a noi, e forse troveremo anche marito....
— Ah, certo, — diceva Lia, — a nessun costo tornerò in Sardegna.
Eppure, talvolta, ella sentiva una specie di nostalgia fisica; quando stava per addormentarsi le pareva di star seduta ancora sotto il palmizio, o affacciata alla sua piccola finestra: rivedeva la sua camera, coi quadretti appesi allo pareti bianche, quella della zia, coi vagli e i canestri, e il pozzo del cortiletto con un piccolo specchio verdastro in fondo; sentiva il ronzìo delle api, l’odore delle erbe aromatiche, e si addormentava nella pace selvaggia della landa. Anche in sogno viveva l’antica vita, ascoltava il borbottìo della zia Gaina, provava un senso di desolazione, sognava Roma! Svegliandosi provava la dolcezza di veder il suo sogno già fatto realtà. I gridi dei rivenditori ambulanti risuona-