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zo ad un mucchio di foglio di carciofi e di bucce di piselli e ad una baraonda di stoviglie sporche. Ma all’improvviso Costantina si mise a cantare, in dialetto, con la sua voce rude e monotona, come se si trovasse in riva al torrente del suo villaggio, fra le macchie del puleggio fiorito, e Lia vinse l’impressione di disgusto che la piccola cucina sporca le destava. Entrò timidamente e domandò sottovoce:

— Lo zio è uscito?

— E uscito, sì, grazie al Signore! — disse la serva guardando con curiosità e diffidenza il meschino abbigliamento di signoricca — E lei non ha riposato, vero? S’è forse inquietata perchè il mio padrone gridava? Non si meravigli, sa; egli brontola sempre, ma quando è in collera davvero, tace e fa il muso lungo.

Lia sorrise, ricordando la zia Gaina.

— Povero zio Asquer, — disse, avvicinandosi alla finestra — È vecchio e sta male.

— Lui? Vorrei essere io, forte come lui!

— Non dire così! Quanti anni hai?

— No ho ventitrè, ma mi sembra di averne cento. E vostè?

— Io? ventitrè anch’io.

Questa coincidenza parve divertire molto Costantina; ella si mise a ridere, mostrando tutti i suoi bianchi denti sporgenti, e cominciò a rivolgere domande curiose a signoricca Lia guardava nel cortile circondato d’alte muraglie