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Procurando di non far rumore slegò la scatola; di lontano le arrivava la voce dura e imperiosa dello zio e quella insolente di Costantina, e provava un senso di meraviglia pensando alla poca soggezione che la ragazza dimostrava per tanto padrone.

Che era venuta a far lei, presso lo zio, se c’era già una serva così svelta e ardita? La padrona? Ma una padrona non si tratta come lo zio aveva trattato lei dopo che era scesa dal treno. Egli s’era persino burlato del suo regalo! Bruscamente prese la cassettina dell’aranciata e la cacciò sotto il lettuccio; trasse la gonnellina, la camicetta, le scarpette a lacci, il grembiule a legaccio scorrevole, e rivestì quei poveri abiti che odoravano ancora dell’erba della landa e della cucina della casupola sarda; s’avvicinò all’armadio per riporre l’abito buono e si vide intera nello specchio; intera, alta e magra, nera e triste, e capì che coi suoi poveri abiti aveva ripreso il suo fatale destino di ragazza povera.

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Sotto quest’impressione scrisse alla zia Gaina, ingrossando la calligrafia per farsi leggere da lei, ma nascondendole egualmente le sue speranze e le sue delusioni. Di là si fece silenzio ed ella pian piano aprì il suo uscio, si azzardò nel corridoio e vide la serva in cucina, in mez-