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lievemente il bastone sulla frangia delle tende, la guardava e scuoteva la testa, come per dirle: i nostri parenti, certo, laggiù in quel paese di mori non vivono in mezzo a tanto lusso.
Ella si guardava attorno silenziosa: capiva il pensiero di lui, e la camera della zia Gaina, col letto di legno a baldacchino, le pareti tinte di calce, da cui pendevano come oggetti sacri i vagli, i canestri e gli altri arnesi per fare il pane, le tornava in mente: le sembrava che bastasse uscire dal salottino per trovarcisi ancora.
— Il salottino è stretto, — disse lo zio Asquer, sollevando la portiera per lasciar passare Lia. — Ma io non seguo la moda dei piccoli borghesi, che pur di avere un salotto grande, mangiano o dormono in una cameretta buia. Noi non diamo ricevimenti; eh, eh, non servono a niente.
Lia non rispose; ella non era mai stata ad un ricevimento. La camera da letto dello zio era infatti molto spaziosa, piena di luce, allegra come una camera nuziale; su tutti i mobili Lia osservò oggetti da toeletta, in osso ed in argento. La camera destinata a lei era invece così stretta che la finestra occupava tutta una parete; ma una luce vivissima la inondava, facendo risaltare i fiori d’oro della tappezzeria celeste e i ghirigori gialli del soffitto. Dal lettino candido, collocato in fondo alla cameretta, si scorgevano le cime degli alberi del terreno di