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i libri, beveva uno dopo l’altro i bicchieri di vino versati da Lia, gridò indignato:
— E lei vuol lasciare Roma per questo covo di vipere?
— Oh, no; ritornar qui mi sarebbe impossibile! Devo far studiare i bambini. Andrò a Nuoro, dove si vive con poco.
— Ma perchè parla così? Ha paura che le domandino denari in prestito? Lo sappiamo che lei è ricca....
— E lei che cosa intende per ricchezza? Lei un tempo leggeva Orazio....
Egli balzò in piedi offeso.
— Siamo miserabili, in questo paese, ma non stupidi. Lei può dirmi quel che vuole, e beffarsi di me; ma che non si possa vivere a Roma con tremila lire di rendita, questo non può dirlo....
— Tremila? Certo, a chi le ha bastano.
— E lei non le ha? E il povero suo zio Luigi Asquer non le aveva?
— Luigi Asquer non possedeva nulla! — disse Lia ridiventando seria, e cambiò discorso, domandando al Maestro notizie della sua vita.
— Io son povero, sì, — egli disse, riprendendo a fissare il mattone, — sono come i mastini legati alle porte dei ricchi. Vedo la gente passare e divertirsi, e ringhio e non posso rompere la catena. Non importa, — aggiunse, recitando enfaticamente alcuni versetti del Corano, — ciascuno sarà elevato secondo il proprio merito; cia-