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Nei giorni seguenti cominciarono le visite. Quando non era occupata con loro, Lia scriveva, e arrivata l’ora della posta diventava nervosa come la zia Gaina non l’aveva mai conosciuta.

Il suo contegno severo e triste le ridonava presso la gente del paese la sua fama di donna seria: soltanto la zia Gaina cominciava a dubitare del contrario. Di chi erano le lettere che Lia riceveva? Ed a chi ella scriveva, per ore ed ore, costringendo poi la zia Gaina a spazzare gli innumerevoli pezzetti di carta scritta che ella buttava dalla finestra?

I ragazzi, intanto, completamente trascurati da lei, correvano tutto il santo giorno intorno alla casupola, avanzandosi fino alla brughiera, e accorrendo volentieri alla chiamata delle vicine di casa, che davano loro latte, giuncata, pere acerbe, salvo poi ad osservare che i bimbi continentali sono sfacciati, golosi e mangioni. Alla sera, quando la luna illuminava con uno splendore uguale ed intenso metà della straducola, si vedeva una corona fantastica di bimbi scalzi girare vorticosamente, bianchi nel chiarore lunare, neri nell’ombra, cantando in coro:


Vogliamo una figlia, madama Dunrè.
Come la vestirete, madama Dunrè?
Con un vestito di sughero, madama Dunrè.