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sata, poco felice, e il viaggio entro quel vero forno che è la corriera, non li contate?

— E non stavate seduti? — ella osservò rudemente.

S’avviarono verso la casupola: le donne uscivano nella strada per veder Lia, e in un attimo tutti i bimbi del paesetto, alcuni vestiti in costume, altri seminudi, altri camuffati con strani vestiti tagliati da cappotti di soldati e da manti di paesani, circondarono i ragazzetti che arrivavano d’oltre mare. Salvador riconobbe alcuni monelli e li chiamò a nome: in breve i cappelli di paglia e i berretti e le cuffie con le frangie e un kepì che passava e ripassava baldanzoso fra tutte quelle testine irrequiete, formarono un gruppo solo. Lia e la zia Gaina dovettero voltarsi parecchie volte per chiamare le due pagliette, e la vecchia prese in braccio il piccolo Nino, promettendogli uva passa e miele per indurlo a entrare nella casetta.

— Sai che questo bambino è bello? — disse, esaminandolo bene, e trovandogli i segni della razza a cui ella apparteneva: labbro superiore lungo, sopracciglia folte, capelli crespi e occhi diffidenti.

Lia disse con un vago sorriso:

— Tutti trovano che rassomiglia al povero zio Asquer....

E fu meravigliata nel sentire per la prima volta la zia Gaina lodare il povero zio Asquer.