l’altra al contrario, al cui confino l’arco di Porta Pia, dorato dal sole, cingeva con la sua cornice grandiosa un altro sfondo, un altro paesaggio azzurrognolo e vaporoso, conduceva, dal lato opposto, fra giardini e palazzi e fontane, alla Casa del Re. Tutto il paesaggio era popolato di fantasmi eroici e di leggende; tutto intorno era luce e rumore. Gli occhi di Lia vedevan cose fantastiche; i bambini che saltavan la corda, tra il verde e il giallo dei giardini allora intatti della stazione, le parvero grandi farfalle bianche e rosse svolazzanti fra gli alberi di un bosco; l’acqua delle fontane scintillava come il cristallo, strade interminabili si aprivano di qua, di là, da tutte le parti, con sfondi abbaglianti. E il cielo solcato di nuvole bianche le pareva più alto del cielo della sua landa, e il profumo di orba e di foglie che inondava l’aria era ben diverso dall’aspro odore della brughiera! Ella provava un senso di ebbrezza; e le pareva che gli alberelli dei viali, coperti di un verde tenero, illuminati dal sole, splendessero di luce propria, e che tutta la città fosse un giardino a cui le fioraie coi loro cestini di rose e di anemoni, e i fruttivendoli ambulanti coi loro carretti di ciliegie sanguigne e di nespole dorate, dessero un aspetto di festa. Ella ascoltava lo zio, che nominava lo strade e le piazze, e si domandava se doveva ringraziarlo subito perchè l’aveva fatta venire a Roma; il