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la mano fine e feminea che invano aveva tentato di aprirle il mondo dei sogni.

— Perdonami! Lasciamoci in pace....

— Lasciamoci in pace! — egli ripetè; ma la sua mano era fredda ed inerte.

Lia lo accompagnò fino al sentiero, e lo guardava con occhi pietosi. Dopo tutto egli era buono: se ne andava vinto e umiliato, e l’ultimo sguardo che le rivolse nel lasciarla era ancora supplichevole e pieno di speranza. Ma quando egli si fu allontanato, ella tornò di corsa nella terrazza e seguì con uno sguardo mutato la figura bianca di lui che parve dissolversi nella luce rosea del mattino. Le sembrò che un silenzio infinito, tale che nessun rumore sarebbe più valso a interromperlo, regnasse intorno a lei.

— Perchè ho fatto così? — si domandò.

E non sapeva rispondersi. Per virtù, per paura di soffrire, o, com’egli aveva ben detto, per mancanza d’amore? Non sapeva. Perchè era suo destino.

Ma subito sentì che la sua vera passione cominciava allora. L’uomo era appena sparito ed ella già ne invocava il ritorno con uno spasimo d’attesa disperata. Si buttò per terra e si mise a piangere. Le lagrime lo cadevano sul petto, sulle mani, sul grembo: e le pareva di piangere su sè stessa come sopra un cadavere.