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dando per terra; ma allo svolto del sentiero egli la prese per la vita e così camminarono in silenzio per un piccolo tratto. All’improvviso Lia si svincolò e sedette sull’orlo del sentiero, vinta da una stanchezza e da un languore ineffabili. Egli sedette presso di lei e le prese la mano. E tacquero entrambi, come ascoltando e aspettando. Il crepuscolo li avvolgeva d’un velo glauco e roseo.

Oltre il prato verde, il mare immobile sembrava un prato azzurro: tutto il paesaggio era verde e cilestrino, e solo al confine della brughiera, attraverso una fila di pioppi già neri, s’intravedeva il cielo rosso.

Il lamento d’una fisarmonica e un fischio che ne ripeteva il motivo monotono e melanconico davano l’illusione che lassù nel boschetto vagasse un gregge, e che un pastore appoggiato al fusto di un pioppo suonasse il suo zufolo.

Tutto il paesaggio era puro, primitivo, adatto al sogno e all’idillio. A un tratto la fisarmonica tacque, e poi anche il fischio, e regnò solo, nella luminosità del crepuscolo che pareva emanata dai prati e dal mare, il zirlio tremulo e argentino dei grilli.

Un’armonia ineffabile si diffuse allora nella natura che si assopiva: il paesaggio, il mare, il cielo, la luce, le voci delle cose, formarono una stessa poesia, dolce, infinita: il sogno. E i due innamorati, come assorbiti anch’essi dalla fusione di-