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suoi grandi occhi dolci e stupiti e i capelli neri lucenti; ma si meravigliava che ella a sua volta lo riconoscesse.
— Come hai fatto? Mi hai riconosciuto dal bastone? Avrai detto: mio zio Asquer è invalido: dunque è quello!
— Che dite! — ella mormorò intimidita.
Egli rivolse la parola ai sardi, e saputo perchè venivano cominciò a inveire contro gli imputati del processo.
— Canaglia siete e canaglia resterete. C’era bisogno di venire fin qui a far sapere i fatti nostri?
— L’ha voluto il Re, — disse convinto un vecchietto, caricandosi la bisaccia sulle spalle.
— 11 Re? Il Re pensa proprio a voi, sardi asini.
— Ma «vostè est francesu»? — domandò il vecchio con ironia.
Lia aveva ripreso la sua scatola e guardava lo zio mortificata: egli non si mostrava davvero gentile coi suoi compaesani; anzi li fissava con disprezzo, e il suo viso rosso e duro, a metà reso immobile dalla paralisi facciale, e la sua bocca che nel parlare risaliva tutta da un lato tirandosi addietro i baffi bianchi inspidi, e anche gli occhi verdognoli, vivi e scintillanti, avevano un’espressione di sarcasmo implacabile.
Lia provava un invincibile senso di soggezione e di timore; le sembrava che egli potesse burlarsi anche di lei; e infatti, quando le guar-