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alla casina, e vedendo Lia e la vecchia deponeva per terra il suo cestino pieno di murene grigie e nere e di scrofani rossastri. Un vecchio ortolano ancora arzillo, col viso come ricoperto da una maschera di crespo rossiccio, gli occhi verdastri scintillanti di vita e di malizia, attraversava spesso il sentiero, con un fazzoletto colmo di erbaggi attaccato ad un bastone. Anche lui si fermava: la vecchia gli sorrideva, lo invitava ad avvicinarsi e guardava dentro il fazzoletto, prendendo un pugno di ciliegie e offrendole ai bambini. Essi guardavano la mamma, guardavano l’ortolano ed esitavano. Ma il vecchio diceva:

— Prendi, prendi! — e la mamma accennava di sì, e Salvador si metteva le ciliegie alle orecchie, e Nino lo imitava, e il cane leccava la mano a tutti.

Di notte Lia, dopo aver messo a letto i bambini, usciva sulla terrazza e s’abbandonava tutta al suo sogno. Le notti eran dolci, profumate. Sotto la piccola falce d’oro della luna nuova il mare appariva, visto dalla terrazza, come una immensa falce di metallo opaco, qua e là scintillante di lumi e di riflessi.

Appoggiata alla balaustrata Lia fissava gli occhi in alto e l’Orsa e le altre costellazioni le sembravano gioielli appartenenti a lei sola; guardava il mare e le pareva il confine del mondo; guardava la collina e la brughiera; e le strade che