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brezza lucida e cosciente; ella distingueva particolari che sfuggivano agli altri viaggiatori, e come aveva sentito l’immensità del mare, capiva adesso la bellezza melanconica della campagna romana tutta verde e gialla di fiori nel mattino un po’ vaporoso.
Appena il treno penetrò rombando nella stazione, distinse subito, tra la folla che brulicava sui marciapiedi neri, un signore bassotto e grasso, vestito di grigio, che andava su e giù zoppicando e appoggiandosi a un bastone elegante.
— Zio Asquer! — gridò, meravigliandosi subito dalla sua audacia; ma venne respinta dall’urto del treno che si fermava, e gli sportelli furono aperti con violenza, e passò qualche tempo prima che i paesani coi loro cestini e le loro bisacce finissero di scendere e di aggrupparsi sul marciapiede. Ella fu l’ultima a scendere, accompagnata anche lei da una voluminosa scatola di cartone legata con una cordicella.
Il vecchio signore zoppo era fermo davanti al mucchio di cestini e di bisacce, e agitava la mano coperta d’anelli.
— Lia! — chiamò con accento sardo. — Bene arrivata.
— Siete voi, zio Asquer?
— Proprio io in persona!
Furono l’uno davanti all’altra, ma non si abbracciarono. Sebbene egli non avesse mai veduto sua nipote, gli pareva di riconoscerla, con quei