Pagina:Deledda - Nel deserto, Milano, 1911.djvu/260


— 254 —

condavano, vaghi e cangianti come nuvole in un giorno burrascoso; il minimo lamento dei bimbi la faceva tremare.

A questa tensione nervosa contribuiva l’eccesso del lavoro. Ella faceva tornar presto a casa i bimbi, nel pomeriggio, per poter copiare a macchina fino al cader della sera, e diceva puerilmente a Salvador:

— Bisogna ch’io guadagni.... ch’io guadagni molto per mandar via di casa gli estranei. Vivremo soli..... vivremo tranquilli.

Allora egli si rassegnava: col visetto appoggiato alla mano e il gomito al davanzale della finestra, guardava il cielo rosso del tramonto e fantasticava. Vedeva il mare, piroscafi, corazzate, velieri, e lunghe file di numeri e soldati che andavano alla guerra. Cristoforo Colombo, Giulio Cesare e Napoleone, Pinocchio e Tobiolo, elefanti e leoni popolavano la sua immaginazione, finchè il problema della rotazione della terra o quello del numero delle stelle non ne accresceva il subbuglio. Problemi minori seguivano.

— Mamma? Le lepri dormono con gli occhi aperti?

Alle sue domande si univano quelle di Nino, e la mamma, curva sulla sua macchina, rispondeva con voce stanca, lontana, finchè il cielo diventava tutto violetto ed ella si alzava e andava in cucina per preparare la cena.

Nino leccava un cucchiaio e domandava: