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sentì che i bambini, di solito pigri a svogliarsi, quella mattina invece ridevano e facevano chiasso. Corse da loro e vide Nino nel lettuccio di Salvador: fra il mucchio delle coperte e delle lenzuola aggrovigliate i due fratellini davano l’idea di due uccelli nel nido: si nascosero e un gorgheggio soffocato riempì la camera di allegria. Come protestare? Ella dovette farli alzare per separarli e li chiuse in cucina. Ma Nino saltava, graffiava l’uscio e domandava:
— Cosa mi ha portato, quel signore? Un treno, due treni?
La mamma disse:
— Come vuoi che t’abbia portato qualche cosa se sei il bambino più cattivo del mondo?
— Il più, il più? Sei certa? Il più?
— La mamma è sempre certa di quello che dice, stupido! — disse severo il fratello maggiore.
La mamma però lo redarguì perchè non voleva che fra loro si offendessero, e un’ombra offuscò il chiaro visetto del fanciullo. Ah, ecco che ricominciavano le quistioni, le tirannie e le ingiustizie, tutto a causa di «quel signore». Perchè era tornato? Si stava così bene senza di lui. Ed ecco che il campanello squillò, e la mamma parve dimenticarsi di tutto per correre dall’estraneo.
Nulla era mutato nella camera, e nulla nell’aspetto, nello sguardo, nell’atteggiamento di lui: perchè ella dunque si avanzò ad occhi bassi, timida come una fanciulla?