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Ella se ne andò con un’impressione penosa, perseguitata dal ricordo di quelle figure deformi: ma fuori il sole splendeva fra le nuvolette bianche, e tutto era dolce, puro e tenero; nell’aria passava un odore di violette e di arance, e dalla scalinata di piazza di Spagna scendevano, come distaccandosi da uno sfondo vellutato, figure di donne brune e ridenti. Lia respirò, ma decise di tornare dal pittore, sebbene non si fosse parlato del compenso nè dell’amico lontano.
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Eccola dunque diventata modella. Vestita da araba, con un costume forse non perfettamente fedele, ma che le ricorda quello di certe donne della Gallura, ella posa dritta e rigida, di profilo, davanti ad un immenso cartone giallo coperto da un velo rossastro, che dovrebbe rappresentare lo sfondo del deserto. Qualche volta i piedi le fanno male, le gambe le si piegano, una stanchezza sonnolenta le invade la persona e la mente.
Il giovane artista dipinge con un lungo pennello; si allontana e si avvicina alla sua tela, guarda a destra, guarda a sinistra e sembra contento della sua opera. Egli adopera i colori più fini e in quantità enorme: la sua pittura è quasi un rilievo, e quando si tratta di raschiare egli adopera un coltello di cucina.