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— Buon giorno.
E si sorrisero come vecchi amici.
Ella entrò nello studio, vasto e pieno di luce, ma desolato e freddo; i pochi mobili sparsi qua e là, l’ottomana di ferro coperta da un drappo rosso, alcuni avanzi di vivande sul tavolo, le diedero l’impressione che l’artista fosse molto povero.
Egli l’accolse con entusiasmo, la pregò di collocarsi in fondo allo studio, poi più in qua, poi in mezzo, e le girò attorno, le passò e ripassò davanti, allontanandosi, riavvicinandosi, guardandola come una figura già dipinta.
A poco a poco, nel trovarla come egli la desiderava, s’animò, diede in esclamazioni di gioia.
Le fece togliere il cappello, le scompigliò le trecce, le avvolse attorno alla persona un drappo bianco, poi uno nero, le fece indossare un costume orientale, le mise il velo, glielo tolse, le annunziò infine che voleva fare un quadro di vaste proporzioni, con una figura di donna araba su uno sfondo di deserto. Lia sorrise con tristezza ed egli tese le mani verso il viso di lei quasi volesse fermare quel sorriso.
— Stia così; un momento! Ah, così non va! Ho bisogno della sua espressione nostalgica e triste.
Ella non sorrideva più e aveva preso un’aria disgustata, «Perchè son qui?» si domandava. Per il desiderio di parlare dell’assente e di conoscere