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che nulla varrà a vincere. Dal canto mio la mia decisione è presa: verrò!

«D’altronde la zia Gaina è l’unica persona che veramente mi ami e che io ami veramente. Compatisco i suoi difetti, frutto della sua ignoranza e non del suo carattere, e il pensiero di doverla lasciare, tanto più contro il suo volere, mi riempie già l’anima di tristezza e di rimorso.

«Ma ella sarà felice quando mi saprà felice: ella non vuole che il mio bene, ella che mi ha veduto crescere orfana e sola e mi ha accompagnato nei giorni della tristezza. Io sarei una ingrata se disconoscessi i suoi benefizi; ma d’altra parte capisco che rifiutando il vostro invito mancherei ai primo dovere che è quello verso me stessa. Io, qui, sono un essere incompleto, inutile a me stessa e agli altri. Non faccio niente perchè nessuno vuol niente da me: qui, voi lo sapete, il lavoro intellettuale è considerato come un perditempo: il lavoro manuale quasi come una vergogna. Io volevo almeno far la sarta, poichè non ho potuto far la maestra, ma anche questo lavoro mi è stato proibito. Quando ho messo in ordine la casa e fatto il pane e rammendate le calze, il mio compito è finito; non mi resta che andare in chiesa; e ci vado perchè sono credente e amo Dio, ma sento che non è giusto e neppure nobile domandare l’aiuto del cielo per tutte le nostre miserie quotidiane, mentre potremmo evitarne tante con un po’ di buo-