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Cominciarono le giornate fredde, ed egli si lamentò perchè nelle sue camere penetrava la tramontana: Lia ricordò allora che dall’eredità dello zio Asquer le era rimasto un braciere di ottone; lo trasse, lo accese e lo mise nel salotto.

Quando era sola in casa sedeva accanto a quella specie di focolare antico, ed eseguiva l’orlo a giorno di immense lenzuola o di minuscoli fazzoletti di batista, lavoro che la serva le avea procurato da una cucitrice di biancheria.

Il guadagno era meschino ma a qualche cosa serviva; la monotonia del lavoro, quei punti sempre eguali, su quel fondo sempre bianco, accrescevano però la sua tristezza; le pareva talvolta di cadere in un cupo torpore, come se il lenzuolo che le copriva le ginocchia fosse un mucchio di neve sotto il quale doveva morire assiderata.

Solo qualche rumore alla porta la scuoteva: aveva paura che l’inquilino rientrasse all’improvviso, e s’alzava in fretta e ritornava di là, nel salottino freddo e grigio. Il cuore le batteva, e di nuovo si lasciava vincere da un senso d’ostilità contro l’intruso che entrava liberamente nella sua casa e, volendolo, poteva farle del male.

S’egli poi entrava davvero ella si chiudeva nella