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no come aquilotti. La libertà della spiaggia li aveva resi indisciplinati, e tutti i giorni, a causa di un cucchiaino con la cifra dorata, erano liti, pugni, lotte continue. Lia nascose il cucchiaino e chiuse Salvador in camera per quattro ore; ma si sentiva umiliata per l’osservazione e le lamentele del signor Guidi.

Egli d’altronde pareva sofferente; era nervoso, soffriva d’insonnia, soffriva per il caldo, e spesso all’alba suonava per farsi portare il caffè. Lia entrava, apriva gli scurini, metteva qualche oggetto a posto: e vedeva l’estraneo così pallido e disfatto che ne sentiva pietà e ricordava i discorsi di lui, quel giorno nella casetta dei cacciatori. Ah, sì, anche lui doveva essere uno dei tanti che non si curano più del loro giardino! Ma dopo qualche momento, assorbita dalle sue cure, ella non pensava più a lui, o ci pensava ma senza pietà. Che le importava, dopo tutto? Egli si circondava di mistero; non le aveva mai confidato nulla del suo essere, del dramma della sua vita: nè lei si curava di saperlo. Pur così vicini, procedevano ciascuno per conto proprio, viandanti smarriti nella landa del dolore umano.

In ottobre egli partì: andò nella Spagna, le mandò cartoline illustrate, con donne che le rassomigliavano: ma al ritorno non le parlò che fugacemente del suo viaggio: era sempre l’inquilino, l’estraneo che rivolge la parola al l’estraneo che incontra nella via, quando ha bisogno