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vedova anche lei da poco e che mi aveva preso con sè, non mi permise d’assentarmi dal paese.

«Voi forse ricorderete questa donna generosa, rigida, buona in fondo, ma fatta troppo «all’antica». Se degli antichi ha la rettitudine, lo spirito di giustizia, l’istinto ospitale, tutte le buone qualità insomma, ne ha però anche tutti i difetti. Odia tutto ciò che rappresenta la civiltà e il progresso. Come una donna medioevale è piena di superstizioni e di paure. Per lei tutto è peccato, tutto è perdizione; i libri sono oggetti spaventevoli; il mare segna una specie di barriera tra il nostro piccolo mondo ove, a suo parere, si rifugia ancora un po’ di virtù, e il mondo vero e grande dove, secondo lei, tutto è corruzione e inganno. Io invece amo la vita, sogno i luoghi ove gli uomini lavorano, si muovono, comunicano fra loro, s’aiutano e si amano: ho letto i pochi libri che appartenevano al mio babbo, e l’eco del mondo arriva qui, portato da qualche giornale, eco grandiosa e vittoriosa come il rombo del mare agitato: per ciò fra me e la zia da anni ed anni dura una specie di conflitto; siamo come due mondi che si urtano ogni volta che s’incontrano, e mentre io cerco di evitare questi cataclismi, la zia Gaina prende gusto a ricercarli. Il suo silenzio, poi, è più terribile dei suoi brontolii. Stasera, per esempio, dopo l’arrivo della vostra lettera, essa non ha più aperto bocca; ma capisco già la sua ostilità