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diventata pallida, e la sua testa, bendata dai capelli neri si disegnava fine e altera, sullo sfondo rosso dell’orizzonte.

La zia la guardava con ostilità. Ella non aveva mai sperato nulla di bene da quella ragazza fredda e taciturna, che non domandava mai consiglio a nessuno. Eccola, adesso passeggia su e giù fra i cespugli, con le braccia incrociate sul petto, e deve aver già preso la decisione di andarsene, di abbandonare il paese natìo, la zia che l’ha allevata orfana e povera, di lasciar tutto, insomma, per correre presso un vecchio egoista, in una città piena di perdizione.

— E non muterà decisione, — pensava la zia Gaina, stringendosi le mani sotto il grembiale.

— Ella è testarda, e come suo zio, fa sempre il contrario di quel che le si consiglia: non c’è pericolo che dica quel che pensa!

Infatti Lia tacque, durante quell’indimenticabile sera, nè la zia, che pareva solo affaccendata a preparare il lievito per il pane dell’indomani, la interrogò oltre.

Mentre la donna versava il lievito nella corbula, e sopra la farina segnava col dito una croce, Lia rimise in ordine la cucina e la povera sala da pranzo che serviva anche da salotto di ricevimento, e chiuse porte ed usci con catenacci e spranghe, come se la casupola contenesse tesori: in ultimo prese un lume ad olio, salì la scaletta umida e scura, si ritirò nella sua camera ma