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cola rendita e quello che le dava il Guidi, ella riusciva a pagare il fitto di casa e a mantenere la famigliuola. È vero, però, che lei e i bimbi si contentavano del puro necessario: vivevano di latte, di uova, di erbe. La domenica ella faceva un dolce molto economico, di ricotta e di zucchero, ed i bimbi rimanevano contenti per tutto il resto della settimana, o fino al giorno in cui la signora Bianchi mandava a prenderli e faceva servir loro una merenda da novella di fate. Ma verso gli ultimi di maggio la pietosa signora partiva e le feste finivano.
Col primo di giugno Salvador andava a scuola alle otto meno un quarto, per tornare alle dodici o mezza: rientrava stanco e nervoso; e vedendolo così, Lia, anche lei sfinita, s’inquietava e si rattristava.
Ella doveva alzarsi presto, alla mattina, per accudire a tutto, preparava il caffè, scaldava l’acqua per l’estraneo; lavava i bambini e li chiudeva nella saletta da pranzo, perchè non facessero chiasso, sorvegliandoli come carcerati. Ma anche Salvador si ribellava; e nella lotta quotidiana fra lei e i bimbi ella vinceva sempre a forza di volontà e talvolta di rigore eccessivo.
Un giorno dovette dare uno scapaccione a Salvador che incitava Nino ad andare a picchiare all’uscio del Guidi; e il fanciullo si mise a piangere sconsolatamente.