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dovettero passare il pomeriggio a casa. Essa lavorava accanto alla finestra dei salottino, un po’ seguendo il corso dei suoi ricordi, un po’ abbandonandosi già al presente e pensando al modo di disporre la casa se «quel signore» si decideva a prender la camera e il salotto; i bimbi intanto si rincorrevano nelle altre camere, giocando e litigando, un po’ nervosi per la forzata clausura. Salvador ne capiva il perchè e non si lamentava; ma Nino entrava ogni tanto dalla mamma e le baciava la mano, le ginocchia, o si alzava sulla punta dei piedini mormorando!

— Un pacio, un pacio, — e lei reclinava la testa ed egli la afferrava al collo e la baciava sulle guancie, come sempre quando desiderava qualche cosa.

— Che cosa vuoi, Nino?

— Andiamo fuori, mamma!

— Più tardi, anima mia. Aspettiamo quel signore, poi usciamo.

Ma le ore del lungo pomeriggio luminoso passavano inutilmente, e una volta Nino, che era sempre l’ambasciatore delle cause che il fratello non osava perorare, andò a dire in segreto alla mamma:

— Anche Salvador vuole uscire!...

Lia chiamò il fanciullo, e lo abbracciò, stringendogli forte le spalle magroline. Egli era già alto come lei quando stava seduta e le rassomi-

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