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rone come una donnina. Ma quasi sempre i discorsi fra lui e la mamma erano elevati, e spesso anzi si aggiravano intorno a cose sublimi. Mentre la mamma, curva, con le sottane fra le gambe, lavava per terra, egli, con lo strofinaccio in mano, fissava gli occhioni luminosi nel vano infocato della finestra, su quel ìembo di cielo azzurro lontano e ardente come un cielo tropicale, e domandava:
— Quanti metri cubi può essere grande il cielo?
— Il cielo è infinito, lo sai; non si può misurare.
— Nessuno ha provato, però. Se uno provasse?
Egli si slanciava verso la finestra, agitando le braccia, sembrandogli già di nuotare nell'infinito; ma una savia osservazione di Lia lo richiamava realtà.
— Bada di non cadere, intanto.
— Mamma, che cos’è la vertigine? Tu sei mai stata in dirigibile?
— Io no. Ci andrai tu, spero!
— Io no, veh! Io non voglio cadere e lasciarti sola. Io non voglio aver vizi. Non voglio fumare, non voglio portare il bastone nè gli anelli.
Tutto ciò che era superfluo già rappresentava per lui un vizio.
Nino, intanto, nel suo lettino, non poteva addormentarsi. Sentiva la mamma ed il fratellino