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devo gli occhi! Che faremo, dunque, io e loro?

E riviveva continuamente nel passato, in quei brevi anni che erano stati come un’oasi nel deserto. Adesso ella aveva ripreso il viaggio, non più sola, ma peggio che sola, e i suoi occhi erano come colpiti da un bagliore accecante, dall’immensità spaventosa di un deserto ancora più grande e arido di quello che prima la circondava.

E ciò che più l’atterriva era il ricordo delle sue inquietudini, dei suoi presentimenti, delle avvertenze dello zio Asquer e degli altri. Ricordava la visita al paesetto, i brontolii della zia Gaina, i suoi propositi di lavoro. Gli anni erano passati inutilmente. Ella aveva allevato il bambino suo, ed educato il bambino altrui: poca cosa invero contro le insidie dei destino che si divertiva a tormentarla. Ella lo odiava, questo destino maligno, ed era pronta a combatterlo; ma si sentiva ancora fiaccata dai terribili colpi avuti, e le pareva di procedere a stento, barcollando.

— Che avverrà di noi, che avverrà? Farò dunque l’affittacamere, sì; ma se io morrò, che avverrà di loro? — È impossibile; tu non morrai, le rispondeva una voce interna, più disperata che convinta. — Anche per lui dicevo così. Ed egli è morto! Egli è morto! — ripeteva l’altra voce.

Allora il ricordo che, nonostante le sue inquie-