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Ma cos’è che non importava a loro? Non si staccarono da lei finchè non ebbero il cartoncino: e il nome e la persona dell’estraneo riempirono il loro mondo.

— Ma lui non ha casa? — domandò Nino.

— Quanti anni avrà? — domandò Salvador.

— Forse dieci, — rispose l’altro pensieroso.

Dieci anni erano già per lui un’età avanzata.

— Eh, forse trentatrè o trentaquattro, — corresse la mamma: e Salvador, pensieroso anche lui, cominciò a contare con le dita.

— Allora, se muore come papà, ha altri otto anni da vivere.

Lia tornò in cucina senza rispondere, con gli occhi pieni di lagrime. La serenità dei bimbi, che, pur sapendolo morto, parlavano del padre come se fosse vivo e dovesse da un momento all’altro riapparire fra loro, era il suo strazio maggiore.

D’altronde ella si faceva un dovere di non turbarli col suo dolore; ma non aveva ancora la forza di parlare di lui come d’un caro lontano che deve ritornare o che si deve raggiungere.

Si rimise a preparare la modesta colazione, e le sue lagrime caddero sulle vivande. Da tanti mesi lei e i bimbi mangiavamo spesso il desinare condito così: ed erano lagrime di dolore, d’inquietudine, qualche volta anche di rimorso.

— Ecco, ecco — ella pensava — tutta l’orribile profezia s’è avverata, ed io non credevo, io chiu-