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smossa, gli dava una certa inquietudine. Tornò a guardare le finestre della casa, si battè a lungo nervosamente il pomo del bastone sulla palma della mano, e infine si decise a entrare.

Sì, lo finestre guardavano verso ponente: ed egli voleva questo; una camera solitaria, un rifugio ove al mattino il sole non lo irridesse con la sua luce di gioia, ma che al tramonto lo salutasse fraternamente, ricordandogli che tutto, nella giornata e nella vita, tutto, gioia e dolore, ha fine.

— Portiere, che camere ci sono?

L’uomo, grasso e rosso, in camicia turchina e grembiale di cuoio, stringeva fra le ginocchia una scarpa e tirava lo spago senza mai sollevare gli occhi.

— Al numero tre, camera e salotto.

— È una pensione?

— No.

— Che famiglia?

— Una vedova con due bambini.

— Allora niente.

L’uomo sollevò gli occhi: vide nel vano dell’uscio il bel giovane alto al cui viso bianco i capelli castanei divisi sulla fronte, gli occhi glauchi lunghi e socchiusi, la fossetta del mento e le labbra un po’ carnose e d’un rosa pallido, davano un’aria dolce, quasi feminea, e accorgendosi d’aver a che fare con una persona distinta