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I.

Gli anni passarono. Una mattina verso la metà di maggio un uomo ancora giovane, alto ed elegante, si fermò davanti all’ingresso sempre polveroso del palazzo ove abitava Lia, e lesse con attenzione i cartellini d’affitto inchiodati al muro; poi si tirò un po’ indietro per guardar bene la facciata della casa, si volse di qua e di là, osservò la strada, osservò i dintorni. Il posto gli piaceva: la casa doveva esser piena di luce e d’aria; graziosi villini, alcuni già terminati, altri in costruzione, sorgevano di fronte, nei terreni che pur conservavano qualcosa d’agreste con le loro file d’alberi, i cespugli, i ciuffi di canne: ma i gridi delle erbivendolo, ritiratesi più in là verso la piazza Sallustio, il rumore dei carri colmi di materiale da costruzione e gli urli dei carrettieri che spingevano i cavalli attraverso i varchi fangosi praticati nei muri dei giardini, tutto quell’agitarsi di uomini e di bestie intorno alle pietre e alla terra