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gna guardando il mare lontano. Io sono un’altra, e non rimpiango quella mia sorella immobile e triste; però mi sembra che qualche cosa di lei rimanga ancora attorno a me, come appunto rimane il ricordo di una persona morta. Io vorrei completamente dimenticarla, essere un’altra non solo con l’intenzione, ma anche con le opere. Ricordi il nostro primo colloquio a Villa Borghese? Che ho fatto, dopo? Nulla, nulla; ho amato, mi son lasciata amare. È poco, davvero. Io penso con terrore a ciò che sarebbe avvenuto di me se non ti avessi incontrato: sarei dovuta tornar qui, in questo infinita solitudine! Ricordo la lettera che scrissi al povero zio Asquer, e che non ebbi il coraggio di mandargli mai. Quanti bei propositi! E il tempo è passato senza che io me ne ricordassi neppure. E adesso quei bei propositi, rimasti in questa cameretta, par che si sveglino e saltellino intorno a me e ronzino intorno alla finestruola, come i folletti della notte. Purchè anch’essi non si fermino a contare inutilmente i denti della falce!

«Ho ricevuto la tua carissima e ti ringrazio delle tue tenere parole; anche il mio cuore è presso di te: provo rimorso pensando che tu lavori per noi tutti, mentre io passo qui oziosamente i giorni. Sento un bisogno prepotente di far qualche cosa anch’io, e questo bisogno mi rende talvolta inquieta e triste, come se dentro di me fermenti un male a cui sia necessario