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— Una lettera per te, rosa mia! — disse con voce aspra, traendo di sotto il grembiule una busta turchina e guardandola con diffidenza.

— Ti pare che sia di quel matto di tuo zio Luisi?

Lia non tese subito la mano, ma spalancò gli occhi, fissando la lettera, e arrossì. Il cuore le batteva forte per l’emozione dell’insolito avvenimento.

La donna non staccava gli occhi dalla lettera e non si decideva a dargliela.

— Lia, consolazione mia, sei stata tu, a scrivergli?

— Io? Mai, zia! — rispose Lia con un gesto sdegnoso.

Allora la zia le diede la lettera e accorgendosi che il viso di Lia si illuminava e che il foglio le tremava fra le mani, domandò, cupa e quasi funebre:

— È proprio di Luisi? Che vuole? E sempre pazzo? S’è ricordato, finalmente, s’è ricordato di noi?

Lia rilesse la paginetta scritta con caratteri tremolanti, e all’improvviso, come una bimba colpita da un senso di gioia, si mise a ridere nervosamente, e afferrò il grembiale della donna.

— Ah, zia Gaina mia, che cosa curiosa! Oh, se sentiste! Egli mi invita ad andare a vivere con lui a Roma.

— Leggi, leggi!