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so aiutarti sono sempre tua zia, quella che ti ha fatto da madre!»
Quest’offerta umiliò e commosse Lia: le parve di esser ingrata verso la zia Gaina e per ricompensarla in qualche modo promise di andarla a visitare. In settembre, infatti, tornò nell’isola. Aveva preso con sè Salvador, e senza di lui si sarebbe forse annoiata nelle poche settimane che rimase presso la zia.
Lungo il viaggio ricordava la sua scatola legata con la cordicella, la cassettina dell’aranciata, i sogni che aveva portato dall’isola al continente.... Dolci e semplici anch’essi come l’aranciata, erano stati egualmente derisi e cacciati a muffire in un cantuccio.
Sul villaggio polveroso e sulla brughiera, fino all’orizzonte, gravava il silenzio desolato che ella ben conosceva: le voci umane vi si smarrivano come gridi di uccelli, e Lia provò di nuovo l’impressione del deserto; ma le parve d’esser diventata più alta; le cose eran piccole, davanti a lei, e lo stesso palmizio s’era incurvato, rimpicciolito come un vecchio.
I gridi di Salvador riempirono di vita il luogo triste e morto: appena arrivato andò a molestare le galline, poi si ficcò in mezzo ai cespugli, come una lepre liberatasi da un luogo chiuso, e Lia capì subito che la sua più grande occupazione sarebbe stata quella di corrergli appresso.
La zia Gaina, nera e jeratica, col viso inqua-