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elci della tanca. Perchè non doveva guardarsi? Si volse, risoluta, e si guardò, con curiosità casta, come guardasse una statua.
Vide, sopra le gambe lunghe e lisce, le piccole ginocchia pallide e lucide come due frutti di marmo levigato; e vi posò su il cavo delle mani; poi si curvò a calzare le scarpe. Le trecce disfatte le scivolarono come serpentelli neri dagli omeri cadenti al petto bianco venato di viola; le rigettò indietro con una mano mentre con l’altra stette un po’ ad accarezzarsi il piede arcuato dal calcagno roseo; ma d’un tratto arrossì, balzò di nuovo accanto alla finestra e cominciò a riattorcersi i capelli e a lisciarli bene sulla fronte in modo che gliela fasciarono come di una benda di velluto nero segnata appena dalla linea bianca della scriminatura. L’odore degli orti, il silenzio dell’ora, le ricordavano la tanca; ed ecco di nuovo Simone accovacciato ai suoi piedi, che le legava le ginocchia, le impediva di muoversi. Eppure bisognava muoversi, riannodare il filo rotto dell’antica vita. Le sembrò di chinarsi e dirgli: — su, Simone, bisogna che tu mi lasci,