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delle bende, e — di fuori — il canto dell’usignuolo.

Mentre i due uomini ancora andavano e venivano, silenziosi, cercando di far sparire le tracce del sangue, Marianna sedette accanto al lettuccio. Simone pareva continuasse a dormire. Ella gli parlava sottovoce, toccandogli la mano inerte. Non vedeva più nulla, intorno, con gli occhi accecati dal pianto; ma dentro di sè vedeva ben chiaro in ogni angolo, fino alla profondità sotto la profondità del cuore, nel nascondiglio ove la coscienza raggiava come un tesoro in un sotterraneo.

— Ti ho ucciso io, — diceva a Simone, toccandogli le dita una dopo l’altra, e il cavo della mano ancora lievemente caldo. — Ti ha ucciso la mia superbia. Perdonami. Non andartene così; non fare come ho fatto io, di tacere, di dire solo parole cattive. Perdonami: e non parlare, no, se non vuoi. So tutto lo stesso, Simone, cuore mio. Tu mi avevi dato tanto; mi avevi dato l’amore; non l’amore tuo per me, no, ma l’amore mio per te, l’amore mio. Era un tesoro grande, e io non l’ho saputo tenere.