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mai. Saliva nella soffitta e dopo aver staccato un grappolo d’uva sedeva sul lettuccio della serva. Aveva sete ma non poteva bere; aveva sonno e non poteva dormire. Il vento di primavera che portava il canto del cuculo e l’odore del grano nascente, passava da un finestrino all’altro, scuotendo le tele dei ragni negli angoli e i giunchi vuoti dei grappoli d’uva pendenti dalle travi. Ella rabbrividiva. Le sembrava di aver le gambe pesanti, come da ragazzetta quando l’avevano costretta a calzare le scarpe alte nuove, e desiderava andare a piedi nudi, ritornare scalza, ritornare bambina. Poi sorrideva di sè stessa, con rancore, deridendosi. Infine chinava la testa e s’incantava a guardare gli acini di uva che faceva scorrere come nacchere da una palma all’altra delle mani dimagrite.

Ricordava ostinatamente la notte di Natale, Simone col cappuccio orlato di neve; ma le sembrava una cosa lontana, uno dei racconti di Fidela nelle notti della sua infanzia. Le sembrava.... Tutto le sembrava lontano, eppure tutto le stava dentro, chiaro, fermo. Le sembrava di dimenticare e