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che lei oramai si sentiva legata mille volte più di prima, tirata da una catena invisibile. Perchè agitarsi? Meglio piegarsi come lo schiavo nell’angolo, aspettando la sorte.

Rientrò in cucina, tornò al suo posto. La serva faceva di tanto in tanto girare lo spiedo col cinghialetto spaccato diventato nero sulla cotenna e d’un color rosso dorato coperto dal velo del sale nell’interno, con i visceri scuri e le costole biancastre. I dentini e le zanne luccicavano alla luce del fuoco.

L’ora passava.

Il vino e il pane erano pronti sul tavolo e Marianna, per ingannare un po’ la sua inquietudine e convincersi che tutto non era un sogno della sua fantasia, andò in soffitta a prendere dell’uva.

Con una canna in mano stette a guardare in su, scegliendo il grappolo da spiccare: erano tutti belli, i grappoli; pendevano a coppie dal trave centrale come da un pergolato senza pampini, con tutti gli acini intatti, freschi e gialli come grumi d’ambra. Sollevò la canna, spiccò un grappolo, lo abbassò cautamente, lo pesò fra le mani: