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— tu sei la padrona, chi lo nega? Tu puoi aprire e tu puoi chiudere. Non spetta a me di giudicarli. Solo ti domando una cosa: non pensi a tuo padre?
— Mio padre non comanda più su di me. Ha comandato finchè ero bambina, ed ha fatto di me quello che ha voluto: adesso basta.
— Eppure bisogna che tu glielo dica; non lo dici a me che sono la serva?
— No. Io non lo dirò a nessun altro, Fidela! Lo dico a te perchè tu sei qui e vedi quello che io faccio e non voglio che tu mi giudichi per quello che non sono.
— Io non ti giudico! Tu puoi cacciarmi via e fare quello che ti pare e piace.
Marianna reclinò il viso; un tremito lieve le sfiorava le spalle: vedeva l’ombra della serva oscurare il suo letto e sentiva la mano dura e possente premerle l’omero. Sì, le pareva d’essere veramente all’ombra di un albero o di un macigno, rifugiata in un’ora di tempesta; sentiva il calore del grande corpo maschio di Fidala e ricordava le notti infantili, il tettuccio della soffitta, l’ansia e la gioia d’essere accanto alla serva.