apparivano come in tormentosa visione, destandogli un desiderio istintivo, brutale, di afferrare qualche cosa e percuoterla con tutte le sue forze contro quegli occhietti in modo da creparli, contro quel profilo in modo da schiacciarlo, contro quella testa in maniera da spaccarla. Questo desiderio cresceva di giorno in giorno: talvolta era così intenso che Cassio provava la strana, brutale sensazione di averlo realizzato; i muscoli delle sue braccia si rallentavano, un leggero brivido di orrore gli ondeggiava per le vertebre. Poi, rientrato in cella, rideva amaramente fra sè della strana ossessione, e capiva di odiare i tre disgraziati scrivani perchè gli rappresentavano, in quei terribili giorni invernali, tutta l’umanità e tutta la natura che lo torturavano e contro cui il suo organismo si rivoltava. Di notte, anche non dormendo, riposavasi alquanto. Fuori il vento scrosciava colla suggestionante sonorità di torrenti lontani. Nel perfetto buio, in quell’armonia selvaggia, Cassio perdeva la percezione del tempo e ricordava e sperava. Nel lettuccio, alla cui asperità le membra s’erano adattate, alitava un grato tepore, e, almeno,