vano: nell’ufficio degli scrivani i tre continentali sembravano più che mai rassegnati, talvolta anche allegri, destando un maledetto disgusto nel sardo che pure, in fondo in fondo, era rassegnato anche lui. Solo, nella dolcezza dell’autunno, nelle roride aurore dal cielo ineffabilmente puro, nei lunghi tramonti che sbattevano il loro riflesso d’oro rosso fin sulle lugubri pareti dell’ufficio, egli sentiva tormentosa la nostalgia della patria e della libertà. E fremeva come puledro tolto ai liberi pascoli e chiuso in mefitica prigione: ma sapeva domare le sue intime ribellioni, e talvolta s’immergeva così profondamente nella speranza e nel sogno dell’avvenire che il presente gli pareva già passato. Però quando giunse l’inverno e dagli Appennini neri di nebbia salirono a torme le nuvole, e la pioggia sgranò le sue incessanti lagrime irose contro le facciate dello Stabilimento, Cassio sentì i suoi nervi tendersi dolorosamente come corde indurite dal freddo. Di giorno, nella luce livida dell’ufficio, le tre teste degli scrivani, i tre volti grigi di freddo, i piccoli occhi azzurri cisposi, il profilo diafano del biondo, la testa da imperatore romano, gli