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66 | g. deledda |
Poveretti, essi mi sono di tanto aiuto. Andiamo a cavallo, e queste cavalcate sono il mio unico divago. A casa nulla di nuovo: lavoro attorno all’arazzo che cominciai in collegio, quando i miei sogni erano così diversi dalla presente realtà, copio in esso certi vecchi ricami sardi scovati dalla balia. Non vedo quasi mai nessuno; penso a te contando i giorni.„
— Perchè questa gente che sembra ricca e intelligente non pensa a chieder la grazia? — si domandò il Direttore; e passeggiando nell’orto, ove la primavera toscana trionfava con splendide fioriture di rose bianche, gialle e vermiglie, e dove fra l’intenso verde degli erbacci i berrettini rossi degli ortolani reclusi fiammeggiavano come papaveri, pensò assai stranamente alla soave e forte sorella del n.° 245. Se la figurava alta e bruna come il fratello, col pallido viso arabo marcato da quella fatale fisonomia che distingueva il detenuto; e la vedeva curva sul suo arazzo pazientemente istoriato, e slanciata al trotto d’un piccolo cavallo sardo, con gli occhi socchiusi al dardeggiante sole del maggio isolano. Poi si meravigliò, si vergognò della sua puerile ro-