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mi hanno messo nell’ufficio degli scrivani, con tre sconosciuti antipatici; (il Direttore cassò queste quattro parole), il lavoro è molto, quasi opprimente, ma fa passare meno dolorosamente il tempo. Sulle prime non potevo assuefarmi: ora sono meno disperato. Il signor Direttore è assai buono con me.

“Sì, sì, il tempo passerà, il tempo passa, ma intanto io ho l’impressione che la mia condanna sia eterna: che i 987 giorni che ancora mi restano da scontare sieno infiniti come le rene del mare. Mi opprime più di tutto il pensiero del tuo dolore.

“Ma pensando a te mi conforto. Tu sei tanto buona. Purchè, nella mia assenza, non ti mariti e ti dimentichi di me! L’ho detta grossa; perdonami, cara Paola; ciò che ho detto non è possibile. Come la buona sorella può dimenticare il fratello infelice? Eppure, alle volte, quando non posso dormire, accresce il mio affanno anche questo pensiero. Chi poteva credere che le cose andassero così?

“Io ero rassegnato a tutto, ma in fondo speravo nella giustizia degli uomini. Che cosa hanno fatto di me! Scrivimi presto, non dimen-