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— e splendevano i denti, gli occhi e le delicate unghie violacee di Maria.

— Va bene, ma non vi sgridate, ammonì paternamente Giovanni, allontanandosi.

— Sgridarci! — disse Nino con voce sommessa, come parlando a sè stesso. — Com’è possibile? Non sono Diego io.

Maria credè d’intendere un lieve rimprovero e protestò.

— Ma non sono poi io che lo molesto. È lui, sai. Diego è un tormento. Già, sono tutti una disperazione quelli lì, — (sporgendo il labbro inferiore accennò il circolo del piccolo gregge). — C’è da fuggirsene da questa casa....

— Vientene a casa mia, — diss’egli sorridendo; ma il cuore gli tremava.

— Diego? Diego la finirà male... Vedrai, Nino; lingua mia s’inaridisca, ma Diego finirà male.

— Lascia stare, — egli rispose, — è un ragazzo; si correggerà da solo. Dieci, venti, ventiquattro, trentacinque.... hai vinto tu pure.

— Già! — diss’ella ridendo e rimescolando le carte. — Fortunato in amor non giochi a carte!

Egli la guardò fisso, sospirò, scosse la testa.